gemelliIeri sera ci è capitato di fare un gioco, il gioco del “per me tu sei”, il nome me lo sono appena inventato, e l’idea è venuta a mio marito.

Si trattava di attribuire, senza pensarci troppo, un aggettivo, uno solo, che pur nella sua semplicità  riuscisse a cogliere un aspetto importante della personalità dei nostri bambini.

Un gioco perfetto, da fare in quei momenti pigri, dopo cena, quando il divano ti accoglie come una cuccia in attesa della notte.

GuendaAbbiamo cominciato con Guendalina, preso qualche istante per pensare e poi abbiamo sparato: io estrosa, lui morbida. Guendalina è morbida, in effetti, estrosamente morbida, non solo per quel paio di chili di troppo che cerchiamo di farle smaltire da sempre, ma lo è anche nel senso di adattabile, flessibile, versatile nella sua straordinaria capacità di trovarsi a suo agio con l’intera umanità: l’ho vista tuffarsi dallo scoglio con i temerari, accompagnare per mano i paurosi, giocare a bambole con le mammine e sparare col mitra ai maschiacci. Guendalina è morbida, perché le difficoltà se le fa rimbalzare addosso: unica fra i figli ad essere dislessica, sovrappeso, con l’apparecchio per i denti ha i suoi momenti di sconforto  e qualche crisi di rabbia, ma sono nuvole passeggere, morbide, che sa far disperdere in fretta.

Ludovico è per me coccoloso, per lui seduttivo. Ludovico è quello che molto poco maternamente potrei definire un tipo paraculo: dito in bocca, ti guarda dal basso verso l’alto e ti dice: “come sei carina e gentile mamma”, mentre con il piede cerca di spingere sotto il divano il vetri del bicchiere che ha appena frantumato. Per Ludovico l’esistenza è un po’ sempre uno show da svolgere sotto i riflettori e se percepisce che ti sta divertendo ci prende gusto e continua il gioco all’infinito. Ludovico ha la fissazione del seno, “che belle poppe!!” diceva alle signore fino a qualche tempo fa quando lo portavo in piscina, loro ridevano e io volevo morire. Se ti accomodi sul divano e c’è anche lui non gli puoi sfuggire: il posto accanto a te è il suo e se non è il suo se lo prende intrufolandosi come può; quando ha raggiunto il suo obiettivo, con una mano si ciuccia il dito e con l’altra ti accarezza il viso, ti manipola le orecchie, ti sfiora il naso. Ludovico disegna, tanto e bene, e sembra sempre che lo faccia solo per te.

Corinna: io ho detto raffinata, mio marito ha usato l’aggettivo fine. La stessa cosa. Corinna è elegante di natura, eterea, a tratti glaciale, qualche volta disdegnosa, drammaticamente spesso frignona. Corinna, come una dama d’altri tempi, sviene, solo che non basta tirare fuori i sali o scuoterla con fermezza, perché lei se sviene ha le convulsioni e fa fatica a tornare; è un problema vasovagale, niente di grave, ma quanto ci ha fatto preoccupare da piccina e quanti anni di vita ha levato alle insegnanti o alle tate che hanno avuto il dispiacere di assistere alle sue crisi. Corinna ha i mali, invisibili taglietti o impercettibili sbucciature che le fanno sgorgare fiumi di pianto, necessitano di parecchi cerotti e interminabili sessioni di rassicurazioni da ricevere in braccio. Corinna è elegante in abito da principessa così come in tuta, scapigliata o con la cuffia da piscina, balla sulle canzoni di Rihanna specchiandosi sullo sportello del forno e si offende a morte se riveli qualcosa che lei considerava strettamente confidenziale.

sebaSebastiano: per me è perspicace, per lui è acuto e di sicuro se si parla di intelligenza, ha qualche marcia in più rispetto ai suoi fratelli: è inventore, musicista, scienziato, appassionato di storia e bravo a disegnare. Ma è anche oscuro, permaloso, riservato e solitario. In genere gioca da solo, nel gioco come nella vita: da piccolo, intorno ai 5 anni, avevamo pensato che il rugby fosse il suo sport, nella convinzione che lo stare in squadra lo avrebbe migliorato. Dopo un paio di anni, alla fine di una partita vincente mi spiegò che lui non capiva quale soddisfazione ci fosse a vincere una coppa se poi non se la poteva portare a casa. “Sebastiano, l’hai vinta per la squadra!!!”, gli dissi,  “Ma mamma!! Io gioco per me stesso, non per la squadra”. Il mese successivo lo avevo levato dalla squadra e iscritto a Judo. Non si forza ciò che per natura non vuole essere. Sebastiano ti fredda con una battuta al veleno e poi piange perché se ne vergogna, si accorge se sei triste ma stai facendo finta di niente, ti fa pesare ogni singola promessa che a lui sembra non essere stata mantenuta. Ha sempre ragione lui, non è facile fargli accettare una critica e quando ti fa uno dei suoi sorrisi sghembi il cuore ti si riempie di emozione.

Avrei voluto continuare il gioco e magari chiedere quale fosse il mio di aggettivo, ma poi ho desistito, non sono così sicura di volerlo sapere.