0413SRWcover-master495Conflitti fra bambini, come educare al senso morale

La gestione dei conflitti fra bambini al di fuori della famiglia, quindi fra amici e compagni di classe e non tra fratelli, è un tema per me spinoso, faticoso da gestire e sempre aggravato dalla presenza e l’intervento degli adulti (i genitori degli altri). Nella mia famiglia i conflitti tra fratelli sono pane della quotidianità e mi creano a tratti rabbia, a tratti sconforto, a tratti nervoso, ma non mi mettono in imbarazzo: al limite con due urlacci e una punizione globale li zittisco tutti. Ma quando nel mezzo entrano adulti, altre famiglie, stili educativi e non educativi diversi, è complicatissimo. Partiamo dai fatti scatenanti.

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Il rigagnolo della discordia

Accanto alla scuola dei miei bambini c’è un fiumiciattolo che già è diventato secco, ma che fino a qualche settimana fa scorreva spavaldo a valle.  Qualche anno fa l’area era parecchio dissestata e poco attraente per i bambini, da quest’anno, bonificata la zona con un minimo di manutenzione, l’area lungo il fiume (poco più di un rigagnolo), è diventata l’attrazione principale dei bambini all’uscita da scuola, e come dargli torto. Una piccola corrente d’acqua che scorre diventa subito scenario perfetto per far scendere barchette più o meno improvvisate (di carta, di foglie e legnetti, progettate e costruite con il nonno un fine settimana intero, come mio figlio), provare a saltare da una parte all’altra, esplorare, saggiare la profondità delle acque con la punta di una scarpa (e finirci dentro), scorribandare con gli amici, liberare le energie trattenute seduti al banco di scuola.

A un certo punto, il rigagnolo è diventato territorio di scontro fra due classi, la terza e la quarta, con qualche gruppetto di seconda e di prima ad aizzare gli animi e a brandire canne di bambù. Sono volati sassi, qualche spinta, qualche smorfia e alla fine un paio di bambini, in due occasioni diverse, si sono fatti male. Ora, male, diciamo malino, un sasso in testa con feritina uno e un altro un taglietto su una mano per un colpo di canna. Ma il grave, secondo me, non sono stati i contusi, due cavolate, ma i discorsi che si sentivano uscire dalla bocche dei bambini durante i litigi: fra minacce più o meno velate, rivendicazioni di territori, qualche parolaccia e spacconeria di troppo. E gli adulti che fino a poco prima li aspettavano all’uscita da scuola?

Fenomenologia degli adulti presenti:

– Quelli che: “i bambini se la devono sbrigare da soli” ovvero,  lasciamoli massacrarsi in pace, io adesso ho voglia di farmi due chiacchiere e i cavoli miei, l’ultima cosa di cui ho voglia è controllare che succede.

– Quelli che: “da che mondo è mondo, lo facevamo anche noi”, ovvero anch’io da bambino passavo i pomeriggi a tirare sassi in faccia ed è giusto così (il principio che le società si evolvano, non li sfiora).

– Quelli che: è tutta colpa di quelli di quarta, sono arroganti, lo sanno tutti (genitori di terza)

– Quelli che: sono quelli di terza i facinorosi, ci sono parecchi turbolenti nel gruppo,  lo sanno tutti (genitori di quarta)

– Quelli che: “veramente mio figlio non ha mai fatto niente, e se tirava i sassi, comunque non mirava alla testa”

– Quelli che appostati come sentinelle, rompono le palle (prevalentemente solo ai loro figli): “Bambini, ma che fate? Guardate che vi tengo d’occhio!! Tira giù quella canna! Posa il sasso! Modera i toni o voliamo immediatamente a casa!!!”

– Quelli che: “adesso arriva la polizia e vi arresta tutti” (che alle elementari non ci crede più nessuno).

Dalla spacconeria alle lacrime

Il gioco, come scrivevo, è finito quando due bambini si sono fatti male e a quel punto sono davvero intervenuti gli adulti e noi genitori avremmo dovuto approfittare dell’accaduto per farne occasione educativa. In realtà, all’indomani del fattaccio, alcuni adulti avevano preso delle decisioni definitive: “Da domani, al fiume non ci si va più!” altri effettivamente ne hanno parlato fra loro e con i bambini, altri se ne sono semplicemente fregati.  Lasciar cadere l’incidente nel vuoto, senza far scaturire  un momento di confronto e riflessione con i bambini, magari in gruppo insieme ai genitori,  è stato davvero perdere un’occasione per insegnare qualcosa che lasciasse ai bambini qualcosa di più profondo di una lavata di capo. Come spesso succede in queste occasioni, la fretta, la mancanza di tempo, la difficoltà di conciliare gli impegni di tutti, ha fatto si che solo un piccolo gruppo di genitori ne abbia parlato insieme e abbia deciso una linea di condotta da tenere con i propri bambini, che è stata: essere aggressivi non porta a niente di buono anzi, il conflitto genera dolore, pianto di chi si fa male e di chi è stato aggressivo, adesso si pente, ma ormai il danno è fatto.

La mia amica Patricia, con la quale ho a lungo parlato della questione ed è stata una delle mamme convinte che fosse il caso di parlare dell’accaduto e far riflettere i bambini, invece che limitarsi a sgridarli o punirli dopo averli  presi da parte subito, li ha invitati a raccontare quanto successo, rendersi conto della sciocchezza fatta, mostrare il suo disappunto ma con calma e farli riflettere sull’importanza di  scusarsi a vicenda. La stessa Patricia mi ha segnalato un articolo veramente interessante che trovate qui: http://www.nytimes.com/2014/04/12/opinion/sunday/raising-a-moral-child.html?_r=0 e che da delle dritte interessanti sui comportamenti che gli adulti dovrebbero tenere per riuscire a far emergere nei bambini sentimenti di solidarietà, empatia e collaborazione gli uni verso gli altri. L’articolo si intitola “Raising a moral child”.

Crescere un bambino che abbia una moralità

L’articolo mette l’accento sul fatto che educare i bambini ad essere genitili, compassionevoli, generosi e solidali, è uno dei compiti più difficili per un genitore e, anche se ognuno di noi riconosce che questi sono valori importanti, è molto complicato trasmetterli efficacemente ai bambini.
kid gunIntorno ai 2 anni di età, sembra che lodare un buon comportamento sia più efficace della punizione e, proprio l’enfasi messa sul’azione, ha una ricaduta positiva sull’educazione: in buona sostanza, meglio dire a un bambino al di sotto dei 4 anni una frase come:  ” hai fatto un’azione gentile, bravo!” piuttosto che qualcosa come:  “Penso che tu sia una persona di animo gentile”, perché il bambino piccolo tende a ripetere il comportamento che ha generato la lode.

Intorno ai 7/8 anni è preferibile elogiare  il carattere della persona che ha compiuto l’azione, piuttosto che l’azione in sé. Dire a un bambino che fa una buona azione: “Credo che tu sia il tipo di persona che ama aiutare gli altri ogni volta che può, sei una persona molto gentile e disponibile” è meglio rispetto a elogiare l’azione.
Lodare il carattere, l’indole, aiuta i bambini a interiorizzare queste caratteristiche e a fare in modo che loro le sentano come parte integrante della loro identità . Per i comportamenti morali , gli aggetivi descrittivi funzionano meglio dei verbi, un solo esempio, quando durante un gioco da tavolo i bambini provavano a barare, è stato più efficace per contenere quel comportamento dire ai bambini presente: “Per favore, non siate degli imborglioni!”piuttosto che  “Per favore, non barate “.

Quando le azioni diventano un riflesso del nostro carattere , gli essere umani tendono a propendere  verso le scelte morali.

Conflitti fra i bambini: come gestire i cattivi comportamenti: sempre in questo articolo si parla anche di qual è l’atteggiamento da tenere di fronte ai comportamenti sbagliati, per far sì che i bambini acquistino un maggiore senso della moralità. Ecco che spiegano gli esperti: quando i bambini provocano danni o si comportano male, due sono i sentimenti che in loro emergono: la vergogna e il sentirsi colpevoli che sono due stati d’animo molto diversi, da non confondere perché il primo è negativo e il secondo no.

momLa vergogna è il sentimento ti fa sentire una persona cattiva , la colpa è la sensazione di aver fatto una brutta cosa. La vergogna è un sentimento negativo che fa sentire i  bambini  piccoli e inutili e provova in chi si vergogna aggressità o desiderio di fuggire dalle proprie responsabilità. . Al contrario , il senso di colpa, è un giudizio negativo su un’azione, che tuttavia può essere riparata da un successivo buon comportamento. Quando i bambini percepiscono la colpa, la loro responsabilità in una cattiva azione, tendono a sperimentare il rimorso e rimpianto, entrano in empatia con la persona a cui hanno fatto del male  e  tentano di riparare al danno fatto.

La risposta più efficace per cattivo comportamento è quello di esprimere delusione. Secondo le recensioni indipendenti di Professor Eisenberg e David R. Shaffer, i genitori che mostrano delusione verso un comportamento sbagliato, e indicano la strada per riparare al danno o al torto fatto, ottengono che i loro bambini sviluppino degli standard per giudicare le loro azioni, provino sentimenti di empatia e di responsabilità verso gli altri.

L’efficacia dell’esprimere delusione sta nel fatto che comunica disapprovazione per il cattivo comportamento, ma anche aspettative di miglioramento, il messaggio che passa è:

“Sei una brava persona , anche se hai fatto una brutta cosa, e so che può fare di meglio “.