Come affrontare il discorso dislessia con il bambino

Durante il periodo primaverile la nostra scuola, a seguito degli screening per la valutazione dei disturbi dell’apprendimento si è vista recapitare, e di conseguenza le famiglie, una valanga di lettere standard in cui si comunicava che l’esito degli screening collocava i bambini in una fascia di rischio per quanto riguarda i disturbi dell’appredimento, consigliando quindi ulteriori accertamenti.

All’interno della nostra classe, composta da 23 bambini, sono arrivate una decina di lettere e quindi io mi domando: è possibile, dal punto di vista statistico, che su 23 bambini 10 abbiano fallito il test? Non è un numero eccessivo?

La lettera avverte le famiglie di mettersi in contatto con le Asl di appartenenza e poi le lascia sole in balia di una lettera con un carico enorme di incertezze.

Io ho due figli disgrafici e disortografici (su 4) e mentre con la prima bambina affrontare il discorso è stato un passaggio sereno, con la più piccola sono stata in difficoltà. Pianti, rifiuto di accettare la notizia in un primo momento, richiesta disperata di non farlo sapere a nessuno. Tutto ciò è avvenuto ancora prima della certificazione del problema, la sofferenza si è manifestata al primo accenno per il quale le spiegavamo avremmo dovuto fare delle verifiche più approfondite. Di fronte ad una lettera mi attivo, telefono, mi informo, studio, ma davanti a tuo figlio che piange come far passare il concetto che avere un disturbo dell’apprendimento è una difficoltà, certo, ma non mette in discussione intelligenza e valore del bambino?

Come affrontare il discorso con i bambini, quindi? Qual è il modo migliore di affrontare l’inizio di questo percorso che porterà o meno alla certificazione di un disturbo dell’apprendimento?

Ne parliamo con la dottor Tommaso Parenti che partendo da un caso concreto, affronta questo aspetto legato alla diagnosi di disturbo dell’apprendimento: le ricadute psicologiche sui bambini / ragazzi.

La storia di Martino e delle lettere che ballano

a cura del Dottor Tommaso Eredi, psicologo e psicoterapeuta

“Mi chiamo Martino ed ho 27 anni. Oggi, anche se disgrafico e dislessico, sono laureato in giurisprudenza.

I miei genitori dicono che sono sempre stato un bambino sveglio, intelligente, curioso. Ho camminato presto, parlato presto e con una eccellente proprietà di linguaggio.

Al secondo anno di asilo si accorsero, però, che qualcosa non andava:  disegnavo la figura umana con due puntini (gli occhi) e due linee verticali, più o meno divaricate, che rappresentavano tutto il resto del corpo. Ovviamente i disegni dei miei compagni erano molto diversi, molto più completi e la figura umana era ben riconoscibile.

A detta delle insegnanti, ero un bambino pigro, oppure semplicemente un po’ indietro rispetto agli altri con i quali, peraltro, non socializzavo molto: alla compagnia dei miei coetanei preferivo le costruzioni.

La mamma si mise in testa di fare in modo che io imparassi a stare con gli altri, ma ricordo ancora la fatica di giocare a calcio e ad altri sport di squadra.

A scuola mi annoiavo: non coloravo le figure sugli album, ma coprivo tutto con righe più o meno colorate; non riuscivo a stare seduto; mi alzavo e giravo per la classe disturbando gli altri; dimenticavo sempre qualcosa; non tenevo in ordine le mie cose.

Alle elementari tutto divenne ancora più duro, più difficile: i miei genitori mi raccontano che scrivevo sui fogli come se le righe, o i quadretti, non esistessero; non riuscivo a legare le vocali e le consonanti fra loro, spezzavo le parole in modo strano o non lasciavo lo spazio tra una parola e l’altra. Saltavo alcune frasi o le scrivevo due volte, scambiavo la f con la v e la c con la g; le h erano qualcosa di misterioso come la punteggiatura che non si capiva bene dove dovesse andare. lettere che ballano

In più la mia scrittura sul foglio aveva un andamento incurvato verso destra e rientrato sulla sinistra, sempre un po’ di più ad ogni riga, cosi che all’ultima riga la scrittura cominciava più o meno a metà della riga stessa. Mi raccontano anche che leggevo lentamente, con grande fatica, come se stessi scalando una montagna, come se le lettere ballassero di fronte ai miei occhi al ritmo di una musica incomprensibile.

Queste cose io non le ricordo, ma ricordo ancora nitidamente l’ansia, il sentirmi incapace, il credermi inadeguato di fronte allo sguardo impaziente dei professori, della delusione dei miei genitori, delle risate di scherno dei miei compagni di classe che mi trattavano come se fossi stupido. Come raccontare le paure, la solitudine, la rabbia di fronte all’incomprensione, il dubbio che leggi sulla faccia di amici, parenti, insegnanti, il giudizio che ti inchioda, considerato un fannullone, un pigro, uno che si diverte a prendere in giro gli altri?

E poi psicologi, neuropsichiatri, dottori, educatori, insegnanti, colloqui, studio, ripetizioni….

Diventai ancora più insicuro con i miei compagni, vergognoso e quasi timido.

Vacillò anche il mio rapporto con la scuola: non ci andavo volentieri ed ogni mattina era una guerra con i miei genitori.

Poi la neuropsichiatra capì qual era il mio problema e le cose iniziarono a cambiare.

Quanto tempo è passato…

Oggi mi sento un’altra persona: temo sempre un po’ di essere considerato “diverso”, ma ora  le mie difficoltà hanno un nome e non mi vergogno più. Adesso ne parlo con più disinvoltura e mi sento sereno: finalmente ho capito il ritmo delle lettere e la loro danza non mi fa più paura.”

Disturbi specifici dell’Apprendimento: qual vissuti psicologici?

In concomitanza con l’ingresso a scuola, il bambino con un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) si trova  precocemente esposto ad una situazione di forte disagio: mentre i compagni di classe imparano rapidamente e fluidamente  a leggere e a scrivere, egli incontra difficoltà insormontabili, ripete imedesimi stessi errori banali ed è lento.guenda compiti

Queste difficoltà non trovano ragione ai suoi occhi, nè a quelli degli adulti che se ne prendono cura, dato che  appare come un bambino normale, che nel gioco e in altre attività mostra intelligenza e partecipazione. Ecco allora che l’incomprensibilità del fenomeno si presta ad interpretazioni equivoche, gravide di conseguenze negative per il suo futuro.

Quasi inevitabilmente l’insuccesso nell’apprendimento di alcune attività elementari porta a vissuti di sfiducia, al calo dell’autostima, alla convinzione di essere poco intelligenti oppure di essere incapaci, o pigri e svogliati. Ovviamente tali interpretazioni sono erronee e rischiano di peggiorare la situazione; gli stessi bambini dislessici, in assenza di una diagnosi e di una corretta spiegazione, tendono ad accettarle, come riflesso dell’atteggiamento degli adulti.

L’ambiente scolastico (insegnanti e compagni) detiene un ruolo fondamentale nel cristallizzarsi (o nel contrastare) tali attribuzioni

Le manifestazioni psicologiche del disagio assumono aspetti talora opposti: da un lato il bambino può esibire atteggiamenti di ritiro, di chiusura, di evitamento del confronto, di mimetismo (per es. Tenta di nascondersi sedendo all’ultimo banco), di silenziosità: un complesso di reazioni di tipo depressivo o inibitorio.

Dall’altro lato può presentare sentimenti di rabbia che conducono a comportamenti disturbanti, con opposizione e aggressività, che rischiano di attivare problemi relazionali in classe. Non è raro che lo stesso bambino possa mostrare i due diversi tipi di comportamento in momenti diversi.

E’ necessario evitare che queste reazioni comportamentali alimentino un circolo vizioso, in cui le conseguenze psicologiche del disturbo aggravano la posizione del bambino in classe, determinando sempre maggiore espulsività ed emarginazione.

Non è un caso se spesso i bambini affetti da DSA siano vittime di fenomeni di bullismo, o se (benchè più raramente) assumano comportamenti da bullo, a titolo di rivalsa per le frustrazioni subite.

Quali interventi?

La scuola detiene un ruolo fondamentale per affrontare il disturbo in maniera adeguata e per ridurne le conseguenze psicologiche, il disagio e la sofferenza che a loro volta possono aggravare il disturbo stesso.

Di fondamentale importanza è il riconoscimento del problema: l’insegnante assume una posizione privilegiata per l’osservazione, dato che trascorre molte ore con gli alunni e può confrontare comportamenti e ritmi d’apprendimento direttamente, rilevando facilmente gli scostamenti nel gruppo classe.

L’insegnante inoltre deve poter assumere la responsabilità di un atteggiamento relazionale accogliente, avaluativo, sollecitante, più che etichettante e demotivante.

E’ inoltre determinante un intervento psicologico accurato e tempestivo.

La depressione, l’ansia, la rabbia, gli atteggiamenti provocatori, oppositivi o di rifiuto, possono essere ridotti solo agendo  all’origine, sul benessere psicologico, che dipende dal sentimento di sicurezza e autostima del ragazzo.

A monte, un intervento finalizzato al recupero dell’autostima deve aiutare i bambini con DSA a rovesciare il proprio più comune punto di vista, che che sovente li porta ad attribuire a fattori esterni i successi ed a se stessi e alla propria incapacità i numerosi fallimenti. (Ghidoni)

Per approfondire il tema, Film consigliato: Stars. Stelle sulla terra

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Dottor Tommaso Eredi, Psicologo, psicoterapeuta ad orientamento sistemico-relazionale, si dedica alla pratica clinica con singole persone e famiglie. Si occcupa in particolare di affidamento eterofamiliare, di adozione, Spazio Neutro e tematiche connesse alla migrazione. Giudice onorario presso il Tribunale per i Minori di Firenze ed esperto in tutela minorile. Ha partecipato a numerosi convegni con interventi di natura scientifica.

All’interno di Spazio Co-Stanza il Dottore Eredi riceve come libero professionista:

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