Aiuto!! Mio figlio fa i capricci!!!

di Alessia Dulbecco, Pedagogista e counselor

Spesso i capricci sono intensificati dal modo in cui i genitori tentano di arginarli. Nell’articolo vi spieghiamo perché la punizione non è mai la soluzione migliore.

mio figlio fa i capricciI genitori che ricevo in consulenza mi raccontano spesso di avere molte difficoltà a seguire delle regole educative valide quando i figli “fanno i capricci” o si comportano nel modo sbagliato.

Quando entriamo nel dettaglio dei fatti scopro di solito che i comportamenti sono tanti e variano dalle scenate nei supermercati, nel tentativo che i genitori comprino loro quel giocattolo, al non seguire determinate regole di comportamento (“quando si entra a casa ci si lava le mani”) o, ancora, tentare di catturare l’attenzione degli adulti – magari quando sono immersi in discorsi o faccende importanti – facendo chiasso e baccano.

Spesso i genitori tentano di ignorare il comportamento che, naturalmente, viene intensificato. Al raggiungimento della “soglia di tolleranza” (quando, ad esempio, il pianto si è fatto insistente e fastidiosissimo) tendono a reagire . La prima reazione avviene di solito a parole (“basta!”) ma – come raccontano – generalmente sortisce l’effetto contrario e  il comportamento aumenta di intensità. Quindi, innervositi e frustrati, i genitori cedono ed intervengo..”con le cattive”.

Ci sono molti motivi che spingono un genitore a  mettere in atto questo comportamento e il mio compito è proprio quello di ridurre quel senso di colpa che li spinge a venire in consulenza. In molti casi queste modalità di reazione sono apprese (“i miei genitori si comportavano nello stesso modo”), a volte, come scrive Loovas (1990)

Ci sono genitori che puniscono un bambino non per come si comporta ma come espressione della loro ansietà o incapacità di far fronte a determinate situazioni.

Immagine in evidenza: http://fit.webmd.com/jr/mood/article/article-story-mad-calm-down-sam

Il figura del pedagogista accanto alla famiglia nel percorso di analisi del problema

capricciQuando – insieme a loro – proviamo ad analizzare il problema spesso i genitori ricevono una specie di… illuminazione! Comprendono, cioè, di aver sbagliato strategia e capiscono perché il loro comportamento non produrrà mai (perché è logicamente impossibile) l’effetto tanto desiderato.

Quello che accade, infatti, ha un nome: si tratta del rinforzo negativo. 

Se ci poniamo dal punto di vista del bambini, infatti, vediamo un’altra realtà. Il bambino impara che solo piangendo più forte, o facendo scenate sempre più “teatrali”, o comportandosi nel modo peggiore potrà ottenere l’attenzione dei genitori (certo, si tratta di un’attenzione negativa – perché sarà ripagata da una punizione – ma – come ricorda Eric Berne, padre fondatore dell’approccio Analitico Transazionale che è il sistema teorico che caratterizza il mio lavoro – ognuno di noi va alla ricerca di “carezze”, cioè di attenzioni, e si preferisce riceverne di negative piuttosto che non  riceverne alcuna).

Il rinforzo negativo produce due grossi problemi:

  • nell’immediato, non argina un problema ma al contrario lo radicalizza.
  • nel lungo periodo produce quello che Paterson ha definito ciclo della coercizione. Si sviluppa cioè una relazione scorretta tra l’influenza reciproca tra genitore-bambino e il rinforzo negativo. Il rinforzo negativo aumenta cioè l’intensità di quei comportamenti che dovrebbe, al contrario, combattere e ciò scatena l’aumento dell’intensità delle risposte (sia da parte dei genitori che dei figli). Se il bambino ha imparato che è “facendo i capricci” sarà preso in considerazione continuerà a farli e ciò andrà a riflettersi negativamente sulla relazione con i genitori che con la loro risposta autoritaria (un urlo o una sculacciata) andranno a confermare le ipotesi di partenza del piccolo. Sul lungo periodo, quindi, aumenta solo il grado di espressione della collera e – di conseguenza – il basso livello e la capacità di gestione della frustrazione. Il rischio maggiore, quindi, è quello di compromettere  i rapporti familiari di fiducia e rispetto che invece la famiglia dovrebbe sostenere.

I genitori che comprendo il meccanismo sono anche in grado di comprenderne la sua tossicità. Spesso, poi, hanno bisogno di un sostegno per portare nella pratica quanto acquisito a livello teorico. Chiaramente i suggerimenti qui esposti sono generali: un buon intervento su questi problemi richiede un confronto vis à vis tra il/la pedagogista e la famiglia.

Cosa possono fare i genitori, qualche consiglio pratico per cominciare

dad_hugs_sad_boyIn ogni caso due validi strumenti – tra loro correlati – sono il time out, quindi la sospensione del rafforzamento tramite l’allontanamento, e il rinforzo positivo. Davanti al bambino che piange perché non vuole mangiare il genitore può spiegare con le parole (se il bambino è sufficientemente grande da comprendere il discorso) ciò che starà per fare e poi applicare il comportamento (cioè allontanarsi). Si tratta di sottrarsi al comportamento spostandosi ad esempio in un’altra stanza. Appena il bambino si calma lo si accoglie nuovamente – senza astio o risentimenti!!! – e si andrà a rinforzare il suo comportamento adeguato (tendenzialmente i bambini che si sono calmati sono più disponibili a collaborare). Il time out porta l’accento sulla possibilità di rinforzare il comportamento positivo (“ti sei calmato, quindi ti lodo”) piuttosto che quello negativo (“il tuo pianto è insostenibile, ora ti punisco con uno schiaffo!”).

Ovviamente, ribadisco, si tratta di suggerimenti teorici. Ogni situazione richiede aggiustamenti specifici calibrati in base alle necessità familiari e tenendo conto della storia del nucleo stesso.

Dr.ssa Alessia Dulbecco

Qualche riferimento bibliografico per chi desidera approfondire:

– L. Benedetto, Il parent training: counselling e formazione ai genitori. Carocci 2015

– U. Mariani, R. Schiralli, Nostro figlio. Come aiutarlo a crescere con il metodo dell’educazione emotiva, Mondadori 2014

– A. Pellai, Questa casa non è un albergo, Feltrinelli 2009

Alessia Dulbecco, Pedagogista e Counsellor

Chi sono:

Sono una pedagogista e counselor con uno specifico interesse attorno ai temi della genitorialità e degli studi di genere.Spazio Co-Stanza firenzealessia dulbecco

Lavoro soprattutto coi genitori, come consulente pedagogica, per sostenerli in quel processo di crescita educativa che ogni babbo o mamma compie insieme al proprio figlio. In particolare, collaboro col Centro Educativo Allenamente di Scandicci realizzando per corsi di sostegno alla genitorialità.

Lavoro poi con le donne per sostenerle attraverso interventi di counselling mirati al raggiungimento di un nuovo benessere , sia in senso personale che professionale.

All’interno di Co-stanza, il nuovo spazio co-working dedicato alle donne, curo alcuni percorsi dedicati proprio al sostegno pedagogico e di counselling per donne e genitori.

 

Contatti:

alessiadulbecco.com

www.facebook.com/dr.ssaalessiadulbecco

[email protected]